
Oggi, 11 novembre, giornata significativa per la POC. Quando si giungerà alla distanza temporale necessaria per iniziare davvero a comprendere e interpretare gli accadimenti della propria storia personale e di quella collettiva legati a questa pandemia, forse sarà possibile coglierne il senso più profondo anche in relazione alla storia della nostra istituzione/comunità. Però un breve pensiero, alla luce di quanto più recentemente è successo, si fa strada. Tutti si augurano che questo virus sia foriero di grandi cambiamenti. Credo che in questi anni siamo diventati più competenti, più attenti, più performanti; lo possiamo constatare da noi stessi attraverso i traguardi raggiunti e lo rilevano gli altri: i nostri interlocutori, controllori, ispettori. Ma non siamo cambiati nella sostanza. Il “portare i pesi gli uni degli altri”, motto della POC, è ancora la nostra cifra; la carità nella sua triplice accezione è per noi ancora “nomen omen”; le visioni del Fondatore sono ancora attuali, se non già attuate. È un’identità che continua e che sembra tenere agli urti e che anzi dimostra sempre di più di essere la grande forza in grado di contrastarli. Perciò per noi nessun auspicio di cambiamento, ma l’augurio che alla fine si potrà dire che la Piccola Opera è rimasta la stessa, anzi è diventata ancora di più se stessa, nonostante tutto questo e forse, anche se con sofferenza, proprio per tutto questo. Perciò dovremmo approssimarci ad un sessantesimo di conferme, più che di cambiamenti. Buon anniversario a tutti e soprattutto a chi, con il proprio impegno e la propria generosità nel lavoro quotidiano ha il merito di averne conservato e soprattutto di continuare a svilupparne la forza generativa.