
RIPARTENZA
di Caterina Falconi
Il giorno 13 maggio, festa della Madonna di Fatima, noi maestri e i nostri ragazzi seminternisiamo stati convocati dalla direzione per essere sottoposti al tampone, in vista della ripresa delle attività.
Erano passati due mesi, dall’ultimo giorno che ho prestato servizio. Quella mattina, al momento di staccare, sentivo aleggiare una nube mortifera. Per questo avevo salutato i colleghi e gli utenti chiedendomi se li avrei rivisti.
Se loro avrebbero rivisto me.
Non serve che ripercorra la cronologia di fatti cupamente destinati a entrare nella storia. Ma è interessante notare, per noi credenti, come la curva epidemiologica e i giorni del confino siano quasi sovrapponibili alla parabola della Quaresima e della Pasqua.
E in effetti siamo stati tutti inchiodati, dall’assalto virale ahimè ancora in corso, all’evidenza della nostra fragilità, ribadita dall’imposizione delle Ceneri.
Neppure sul fatto che siamo stati, in un certo senso, tumulati in casa, sussistono dubbi. E nella solitudine o convivenza coatta, nella lentezza imposta, nello scollamento dalle maglie di una corriva, frenetica coesione sociale, abbiamo avuto la possibilità di ripensare il tempo trascorso e di apprestarci a riprendere la vita, con uno sguardo rinnovato e sgombro, da dove l’avevamo lasciata.
Anche per questo forse, quando ho parcheggiato davanti al cancello secondario dell’istituto, in attesa che ci aprissero per consentire che sfilassimo in macchina davanti agli operatori della ASL che ci avrebbero sottoposti al tampone, vedendo le dottoresse venirci incontro mi sono commossa. Osservando, con una stretta al cuore,come sguazzasse nel camice la minuta figura della direttrice sanitaria, smagrita, provata, ho realizzato d’un tratto che, mentre noi eravamo ad affliggerci in casa, giacché tutti abbiamo avuto motivi di afflizione grave, altri continuavano a prestare servizio affrontando ogni rischio.
Per amore dei ragazzi.
Per amore di una realtà divenuta nel corso degli anni, senza che ce ne accorgessimo, la nostra famiglia.
Costeggiando la pineta, gli scorci delle altalene immobili e una tenera scultura di terra, o forse lignea, che porge una ciotola vuota, mi hanno rammentato che la festa più sentita dai nostri ragazzi, quella di San Giovanni, quest’anno non si farà.
Ma non importava, perché aleggiava lo stesso un’aria di festa. Ho immaginato lo sguardo degli interni affacciati alle finestre e alle vetrate, che seguivano trepidanti la processione delle auto,riconoscendole, indovinandoci al volante. Partecipi della commozione che ci avvolgeva tutti e che in me è raddoppiata notando con quanto zelo le dottoresse, l’infermiera, l’assistente sociale si proponessero di collaborare all’operazione.
Il personale della ASL, in tenuta anti–Covid, era la tangibile epifania della resistenza dei curanti al male, e la prova tangibile che qualcosa di terribile era veramente accaduto.
Pensata da dentro le case blindate, la pandemia è stata un ringhio che a tratti sembrava il sonoro di un incubo. Ma questi operatori sanitari restati in trincea, con la fattiva umiltà che tuttora trapelava dai loro gesti, si erano misurati con le zanne del mostro.
Piano piano, rintuzzando l’emozione, ho preso a riconoscere tanti volti sotto le mascherine. I volti dei nostri allievi, accompagnati dai genitori, che si disponevano ordinatamente contro il muro ad attendere il loro turno nella somministrazione del test.
Nel loro silenzio partecipe, in quello starci, era evidente la corale opposizione al flagello e la volontà di fare cordata, grati di ritrovarsi.
Non so se saremo tutti migliori, dopo la pandemia.
Ma lo saranno quelli dai cui occhi saranno cadute le scaglie delle incomprensioni, dei pregiudizi e dell’egocentrismo pregresso.
Quelli il cui sguardo tornerà a sondare, colmo di gratitudine e fiducia, la vita e il prossimo dopo un’esperienza mortifera.
Ed è esattamente questa la mia posizione, così come quella che ho percepito dalla compostezza dei colleghi e degli utenti: la posizione di chi è determinato a non sperperare più il privilegio del camminare assieme.
Cari ragazzi, stiamo tornando da voi.